di Federico Rossi – Sintesi Comunicazione*
Apparentemente design, estetica e più in generale il concetto di bello hanno poco in comune con la sostenibilità, anzi per qualcuno possono sembrare due mondi distanti se non addirittura antitetici. La fase “primordiale” dell’introduzione dell’approccio alla sostenibilità (quasi esclusivamente correlata agli aspetti ecologici) è stata caratterizzata da una forte valenza privativa. Come se abbracciare la sostenibilità avesse per il singolo un contenuto di espiazione personale per i mali del mondo. Il prodotto doveva essere basso, performante e non concedere nulla al design, al bello.
Una sorta di “sostenibilità con il saio”.
Un approccio radicale che però ha relegato per anni la sostenibilità a un ruolo marginale, idealistico, quasi fideistico se non addirittura estremo. Un approccio che per anni non ha permesso alla sostenibilità di entrare in modo forte, deciso e definitivo nelle nostre vite.
Per diventare stile di vita reale la sostenibilità deve essere appetibile, il prodotto “trendy” l’azienda “cool”.
La sostenibilità affonda le sue radici su tre pilastri, come ci insegna Elkington con il suo modello della triple bottom line. Però le famose 3 P (planet, people, profit) non bastano.
Produrre in modo sostenibile, dal punto vista sia ambientale sia sociale, prodotti belli e di alto profilo non solo è possibile, è doveroso. Alle 3P bisogna, quindi, aggiungere altri due fattori): le 2 E – etica ed estetica.
Due aspetti agli antipodi nella vecchia visione radicale ma che in realtà, se ben coniugati nel rispetto delle 3 P, permettono di far fare un salto in avanti importante al modello della sostenibilità.
Settori strategicamente correlati al design e all’estetica, come ad esempio il fashion, l’arredamento, l’architettura, possono diventare dei driver reali nella diffusione del concetto di sostenibilità come cambio di paradigma positivo a livello complessivo. Anche la comunicazione gioca in questo contesto un ruolo fondamentale perché diventa acceleratore del fenomeno in quanto contribuisce attivamente alla crescita della cultura, della consapevolezza, dei comportamenti, della condivisione (4C da aggiungere alle 3P e alle 2E).
Una comunicazione che, nel caso della sostenibilità, richiede competenze specifiche in grado di produrre contenuti fruibili da una platea ampia e diversificata di stakeholders (prima che di target).
Resta evidente come in questo ambito anche il design visuale – e quindi la capacità di coniugare creatività ed estetica finalizzate agli obiettivi comunicativi e di marketing – giochi un ruolo fondamentale per poter veicolare concetti spesso complessi.
Una comunicazione che deve essere una buona comunicazione.
Ma cosa vuol dire “buona comunicazione”?
Definirne il perimetro richiederebbe un’analisi molto puntuale che però si può riassumere in quella comunicazione che sa raggiungere gli obiettivi fissati tenendo sempre come stella polare le 2E: etica ed estetica.
Anche se in un periodo complesso come quello attuale, buona comunicazione e sostenibilità devono lavorare in modo sinergico ridando centralità al pensiero, consapevoli che il positivo sviluppo di questo binomio è responsabilità di tutti gli attori (committenti, aziende, professionisti della comunicazione, utenti e destinatari) che alimentano questa filiera.
*Partner operativo del progetto Economia Circolare