Ieri ero in panificio, il signore che mi precedeva ha ordinato 1 chilo di pane francese.
Il panettiere ha preso il filone, lo ha messo sulla bilancia e ha esclamato “5 euro”.
Prima di pagare il signore si è fermato un attimo, ha fatto mente locale e ha chiesto di cambiare il filone con una pagnotta e di aggiungere anche 4 panini, due pezzi di pizza e 3 pastine.
Il panettiere ha incartato tutto è ha detto “12 euro”.
Il signore ha pagato 12 euro, ha preso la borsa ed è uscito dal negozio soddisfatto.
Starete pensando: “allora? Cosa c’è di strano?”.
Nulla. Infatti questo dovrebbe essere il comportamento normale.
Ma, parlando negli ultimi mesi con molti colleghi del mondo della comunicazione, mi è sembrato di percepire che nel mondo della creatività questo in alcuni casi non avvenga.
Non esiste impresa di comunicazione che si tiri indietro quando, nell’ottica del raggiungimento del miglior risultato possibile per il cliente, si chieda ad essa di cambiare, aggiornare, modificare, disfare e ricostruire.
Questo però deve avvenire nel rispetto di una condizione fondamentale: l’agenzia vende il suo tempo (o meglio il tempo richiesto per produrre la prestazione) e non è un tempo qualsiasi. È un tempo impreziosito dall’esperienza, un tempo che ha valore, un tempo che non può essere regalato.
Sarà la crisi, la tensione di un momento difficile, una crescente attenzione ai costi ma vendere creatività sembra essere diventata un’impresa (ovviamente e fortunatamente la maggior parte delle aziende non si comportano così).
Sembra quasi che si faccia sempre più difficoltà a riconoscere il valore del tempo altrui e sempre più spesso non si riconosca il valore delle idee.
Le idee, però, non sono facili da produrre.
Le idee non dipendono dai computer.
Dipendono dalle persone, dalla loro competenza, dalla loro esperienza, dalle loro capacità.
Avere a disposizione computer più potenti (e sempre meno costosi) non vuol dire facilitare il processo di produzione delle idee, non vuol dire produrre idee a costo zero.
Chiedere di vedere riconosciuto il proprio lavoro creativo non può essere scambiato per rigidità.
Esiste qualcuno che lavora gratis? Esistono aziende che regalano i loro prodotti?
Sembra che qualcuno si aspetti, invece, che le agenzie possano farlo.
Da queste considerazioni si dipanano una serie di aneddoti che potremmo definire quantomeno bizzarri.
Situazioni nelle quali tutte le agenzie si sono imbattute. Situazioni che però devono rappresentare l’eccezione.
Può capitare così di trovarsi con progetti ormai in via di conclusione che vengono praticamente azzerati con richieste di revisioni drastiche. Nessun problema se il tutto è finalizzato alla realizzazione di un progetto più efficace e se viene riconosciuto l’impegno profuso dall’impresa di comunicazione. Diventa un problema quando la logica che sottende queste circonlocuzioni è “far lavorare il più possibile l’agenzia perché deve sudarsi il suo compenso”.
Quando si è lavorato il doppio difficilmente può valere la logica del tutto compreso.
Un’altra situazione che sembra essere comune a tutte le agenzie è quella di portare idee creative in quantità per soddisfare le molteplici esigenze del cliente.
Così i tempi e i costi si dilatano. La programmazione interna salta. Si deve correre per chiudere i progetti.
Anche in questo caso deve essere compito dell’agenzia lavorare per raggiungere gli obiettivi fissati con il committente.
Sorge un problema quando in alcuni casi il cliente decreta: “tutto questo tempo per un lavoro che alla fine ci siamo fatti praticamente da soli”.
Fortunatamente la maggior parte delle imprese riconosce il contributo attivo dell’agenzia. Non solo dal punto di vista economico ma anche dal punto di vista della stima e della considerazione professionale.
E per l’impresa di comunicazione non c’è miglior stimolo per impegnarsi al massimo anche nei lavori futuri che veder realizzato un progetto che porta risultati e rendere, conseguentemente, il cliente soddisfatto.
Oggi le tempistiche ormai sono praticamente azzerate. Questo vale per tutte le aziende. Tutti corriamo in un mondo che ormai vive in tempo reale. Però anche la creatività ha i suoi tempi di produzione, come un prodotto tangibile: non fa tutto il computer.
Le agenzie sono strutturate per gestire contingenze sempre più stringenti a volte al limite del miracolo. Ma non sempre il miracolo riesce.
Infine il dilemma delle gare.
Sono numerose ormai le aziende, di tutte le dimensioni, che chiedono a decine di agenzie, senza riconoscere alcun rimborso spese, progetti praticamente definitivi per poi scegliere, quando va bene, un vincitore.
E le altre strutture? L’importante è partecipare.
Ma partecipare vuol dire fare il lavoro e farlo su misura per quel cliente. Se vinci copri quanto investito se non vinci devi coprire un buco economico.
Per le agenzie di comunicazione (ma per tutte le aziende di servizi) non esiste il magazzino e non esiste il conto visione.
Il rapporto è fiduciario. Il cliente vede come lavora la struttura, come ha lavorato per altri, ipotizza come potrà lavorare per lui e poi la sceglie. Non si può scegliere chiedendo di produrre un lavoro finito.
Sarebbe come dire a un’impresa di costruzione “costruisci una casa, poi se mi piace ti pago”.
Calate in qualsiasi realtà industriale queste cose sarebbero al limite della fantascienza.
Trovarsi sistematicamente anche davanti a una sola di queste fattispecie vorrebbe dire correre velocemente verso il fallimento.
Il tutto ovviamente deve essere sommato alle situazioni tipiche dell’impresa, in questo caso di tutte le imprese: concorrenza spietata, richiesta di scontistiche esagerate, etc.
Una canzone di qualche anno fa diceva “è un mondo difficile”.
Per le agenzie sta diventando un mondo quasi impossibile.
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Capita sempre più spesso tutto ciò che hai detto.
Nessuno esce da una pizzeria lamentando che 10 euro per un po’ di pane e pomodoro sono troppi.
Gli artigiani riescono a far valere il fattore tempo/competenza ma per chi sta dietro un computer sempre che ciò non valga.
Io sto risolvendo con l’uso (ragionato) del “NO”.
Ne guadagno in stima, la quale compensa la perdita di quei lavori che mi avrebbero fatto perdere la salute.
Tutti lo sanno ma tutti lo fanno!
Potrebbe essere la sintesi della situazione in cui si trova la mente creativa ma il problema credo sia la troppa individualità nell’affrontare la situazione. Ognuno si comporta come crede meglio con risvolti positivi sul mercato, quando si afferma con dignità il proprio lavoro, e con risvolti negativi, quando pur di lavorare si accetta qualunque situazione.
La soluzione!? Difficile perchè la creatività per sua natura si identifica con soggettivismo.
Effettivamente uno dei problemi, come dice Nadia, è il soggettivismo insito nella creatività. Problema che diventa quasi insormontabile quando il soggettivismo diventa individualismo.
Si entra in gara con la convinzione di vincere e di essere un po’ più “furbi” degli altri.
In realtà può non essere neanche una convinzione ma un condizione forzata dalla “fame” di lavoro derivata da una congiuntura più che negativa.
Solo che da gare non regolamentate e spesso gestite volutamente in modo fumosa escono sconfitti tutti.
La soluzione è quella di Patrizio: direi di no.
E se proprio non si vuol dire di no, quanto meno non cedere su tutti i punti.
Anche noi abbiamo iniziato a dire no e ne abbiamo guadagnato non solo in autostima ma anche in credibilità e professionalità.
Un’altra soluzione: vedere i propri competitors, quantomeno in questi frangenti, non come acerrimi nemici. Parlarsi e confrontarsi potrebbe essere utile quanto meno per cercare di rendere più equa una gara che alla fine porta solo vantaggi al cliente.
Federico – Sintesi Comunicazione