Ok, corriamo il rischio di essere ripetitivi.
Ma anche questa volta ci ritroviamo a parlare di pubblicità che “sfrutta” le donne per far girare gli affari.
Il problema è che rispetto a questo caso, le pubblicità “scandalo” che avevamo già analizzato (“montami a costo zero“, “tu dove glielo metteresti” e “appari al meglio qualunque cosa ti succeda“) sembrano essere poca cosa.
Qui decisamente si sono spinti oltre in quanto non hanno utilizzato in modo provocante le donne, hanno fatto ricorso a delle bambine.
Il brand ha già un nome che è tutto un programma: Boobs and Bloomers, ovvero tette e mutandine, azienda che produce lingerie per bambine!
Potremmo già aprire un dibattito sulla tipologia di prodotto ma la cosa che lascia più perplessi è la scelta della comunicazione.
Sicuramente il prodotto chiama la scelta di visual ammiccanti, sexy, al limite dell’erotismo.
Sicuramente tali scelte porrebbero delle domande se fossero afferenti a prodotti per adulti.
Il problema è che l’azienda ha scelto lo stesso schema utilizzato per la lingerie standard proponendo come modelle delle ragazzine che, guardando le foto, sembrano non avere più di dodici anni.
La reazione sul web non poteva che essere veemente. Anche perché il problema che si paventa non è solo di decenza o di buon gusto.
A onor del vero non si raggiungono i livelli trash dei primi due casi sopra linkati (e ci mancherebbe) ma comunque in molti hanno visto delle scelte ai limiti (forse superati) della pedofilia.
Il messaggio che passa sembra essere fortemente diseducativo, spingendo ragazzine non ancora adolescenti a far proprio uno stile di vita aggressivo, esasperando il concetto di potere del corpo e del sex appeal femminile.
Immancabilmente alcuni scatti non potevano non essere segnalati al Giurì della pubblicità.
Ma è possibile che i creativi siano arrivati a un tale livello?
È possibile che la pochezza di idee sia sempre e solo coperta (in questi casi “scoperta”) dall’uso generalizzato della donna come oggetto del desiderio?
È possibile che non ci siano altre idee di comunicazione per reclamizzare queste tipologie di prodotto?
È possibile che ormai si spacci per marketing (e in casi estremi per arte) lo sbattere (scusate il termine improprio) una semplice foto di donne svestite in una pagina pubblicitaria?
Navigando nei numerosi siti che hanno trattato l’argomento abbiamo trovato anche una risposta della After Eden (se abbiamo capito bene l’azienda che distribuisce il marchio Boobs and Bloomers).
Per completezza ovviamente la riportiamo ripredendola dal blog “comunicazione di genere“.
Boobs & Bloomers è un marchio di abbigliamento intimo per teen ager presente sul mercato da più di trent’anni e distribuito in tutto il mondo.
La funzione di un marchio è quella di contraddistinguere un bene o un servizio di un’impresa da quelli di altre imprese.
L’interpretazione riportata sul blog “un altro genere di comunicazione” è inesatta, in quanto la versione corretta è “seno e mutandoni” ed è pienamente ispirato, in maniera leggera e giovanile, al target di chi indossa abiti e che abitualmente non sente l’esigenza di indossare reggiseni vista l’età, senza nessun riferimento a messaggi totalmente sbagliati che non sono mai appartenuti alla filosofia aziendale.
Da sempre l’immagine di Boobs&Bloomers non ha mai voluto, e mai lo vorrà in futuro, essere legata ed associata a comportamenti inopportuni o innaturali per le consumatrici (teen – ager) che possano comportare danni psicologici per le sue clienti.
Per dimostrare l’apertura e la vicinanza dell’azienda ai commenti della clientela e per dissociarci da ogni qualsiasi eventuale equivoco vogliamo esprimere le nostra volontà nel sostituire le immagini sul sito, chiedendo ove possibile di passare questa informazione sul blog da lei gestito.
A voi il giudizio finale.
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Che fine ha fatto la creatività? Ma che fine ha fatto la decenza……E la risposta dell’azienda che distribuisce il marchio è davvero patetica……..
Trovo che la campagna sia inadeguata, carica di messaggi ambigui che emergono dal connubio immagine-naming.
A partire dall’ambientazione (camera da letto, dormeuse) alla posa della bambina (ammiccante mentre scimmiotta un’adulta), per proseguire con lo sguardo rivolto all’apparecchio fotografico.
Quest’ultimo fattore ha un’importanza a mio avviso determinante: guardare in macchina stabilisce un contatto visivo con l’osservatore, crea una sorta di invito, di complicità che, in questo frangente, mi sembrano del tutto inopportuni e pericolosi.
Che questo genere di messaggi non appartengano alla filosofia aziendale è risibile e la campagna in questione ne è un chiarissimo esempio.
Naturalmente mi si potrebbe facilmente accusare di avere una visione distorta delle cose. Ma, alla fine, resta una sola domanda, a cui tutti dovremmo (il condizionale è d’obbligo) rispondere: vi piacerebbe che la bambina della foto fosse vostra figlia?
L’ultima domanda posta da Alessandro è centrale.
Il problema è che esiste una tipologia di genitore (sicuramente, almeno me lo auguro) che sarebbe “orgoglioso” di far fare pubblicità/televisione/qualsiasi forma di messa in mostra alla propria figlia; arrivando anche a queste situazioni.
In fin dei conti la ragazzina della foto è figlia di qualcuno.
Sta nel capire se questa percentuale di genitori sia lo 0,001% o qualcosa di più.
Allo stato attuale penso che di genitori di questo tipo ne esistano parecchi (ovviamente non lo ammetteranno mai… come Sanremo, nessuno lo guarda e poi fa 15 milioni di ascolto) e che la percentuale sia in rapida crescita.
Cosa volere di più… a 10 anni e sei già nello “star system”.
Ma è questo lo star system?
Oltre al chiaro significato di questa campagna, questa foto tocca un altro delicato problema che colpisce le ragazzine al giorno d’oggi, “l’anoressia”
quindi trovo molto grave e pericolosa, questa campagna.