Nel suo libro Invertising, Paolo Iabichino scrive: “la cultura digitale costringe tutti noi a fare i conti con la disintermediazione e nessun giornalista, nessun pubblicitario, nessun operatore si era mai visto come mediatore”.
Un necrologio, o poco ci manca.
È inutile negarlo (anche perché è una delle motivazioni chiave che si adducono quando si basa una strategia di comunicazione sui nuovi media) il punto di forza del mondo 2.0 è mettere in contatto diretto le persone. Siano esse imprese (fatte di persone) o clienti; lettori o diffusori di informazioni (giornalisti).
In questo contesto l’intermediazione è sempre meno necessaria.
Qual’è il ruolo di un giornalista a Teheran che non riesce a trasmettere la sua visione mediata della realtà quando gli studenti in piazza aggiornano in diretta il mondo tramite twitter?
È vero, noi pubblicitari non ci eravamo mai visti come mediatori. Ma la nostra creatività non serve proprio a mettere in contatto imprese e clienti?
Ma se in un mondo 2.0 aziende e clienti si parlano direttamente a cosa serviamo?
Ha ancora senso parlare di creatività delle agenzie quando la campagna posso farla sviluppare direttamente dal pubblico (o ancora meglio dal target) su Zooppa?
Istintivamente potrei rispondere di si ma suonerebbe come un’indefessa resistenza sulle proprie posizioni.
Risponderò con le parole di Red Canzian, bassista dei Pooh, che intervenendo tanti anni fa come guest star a un concorso musicale al quale presi parte con il mio gruppo disse: “tra i gruppi presenti ci sarà sicuramente qualche bassista più bravo di me, ma nessuno di voi ha l’esperienza e sa suonare come me in un disco o live”.
Ecco uno degli elementi differenziali che permette ai nuovi “mediatori” di sopravvivere in un mondo disintermediato: l’esperienza.
Il valore aggiunto dato dalla capacità di fare la cosa giusta al momento giusto.
Da Zooppa potranno uscire idee creative “migliori” di quelle dell’agenzia ma molte di queste risulteranno caratterizzate da una creatività fine a sé stessa. Manca il passaggio a una creatività efficace ed efficiente, realmente in grado di raggiungere gli obiettivi aziendali. Manca “la visione dall’alto” e “la visione trasversale”.Qui sta la differenza. L’impresa di comunicazione non offre creatività tout-court ma creatività mirata data da un mix di esperienza e di conoscenza dei pubblicitari. Una creatività in grado di trasformarsi in risultati.Alla fine si offre sempre uno strumento di mediazione tra aziende e mercato ma, forse, non bisogna essere mediatori.
Questa è la sfida del 2.0.
Il comunicatore deve essere azienda e cliente allo stesso tempo. Stare contemporaneamente da una parte e dall’altra del fiume. Chi resta in mezzo al guado (e fa da mediatore) alla fine uscirà sconfitto. Perché Iabichino ha ragione: è finita l’era dei mediatori.
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D’accordo.
Queste forme di condivisione sono utili solo se vengono utilizzate come supporto (o spunto) all’attività di professionisti.
Il rischio è che l’azienda perda la visione dall’alto e trasversale che può offrire l’agenzia focalizzandosi solo sul proprio punto di vista.
Il rischio che alla fine venga fuori un gran minestrone è dietro l’angolo… Non a caso si chiama Zooppa 🙂
La creatività senza finalità o è un’accozzaglia o è pura arte.
La comunicazione, intesa come leva di marketing, è si attività creativa ma deve creare anche valore economico.
In un mondo sempre più interconnesso i mediatori hanno poco senso.
In un mondo ormai senza confini serve qualcuno in grado di gestire la turbolenza.
E questo qualcuno non può essere l’utente di zooppa.
Molto interessante, segnalo questo mio articolo che mi sembra a tema
http://marketingarena.it/2010/02/01/il-caso-logo-upim-e-la-people-powered-brand-energy/
Giorgio