Prendo spunto dalla nostra pagina di Facebook e in particolare da un post di Federico, che ha avuto molto successo.
Il post chiedeva di chiarire il significato dell’orso nello spot Vodafone per il piano Relax (relaaaaaaaaax).
Lo spunto mi serve a fare alcune considerazioni sull’utilizzo degli animali in pubblicità.
Che sia carta stampata, spot televisivo o web, poco importa. Come è poco importante che siano cartoon o animali veri.
Le figure animali rappresentano da sempre per i creativi una inesauribile fonte di ispirazione e contribuiscono a rendere accattivanti anche prodotti di scarso appeal.
Gli animali hanno codici di comunicazione propri, che poco o nulla hanno a che vedere con i paradigmi della comunicazione umana: bisogna pertanto riuscire a far loro esprimere concetti comprensibili alla maggior parte delle persone, in modo tale da ottenere una sorta di trasferimento di valore dalla figura animale al prodotto pubblicizzato.
Facciamo un esempio: il pulcino Calimero (antesignano testimonial di Ava: “ehhh, Ava, come lava”!) rappresentava la metafora del bucato della brava massaia: prima il pulcino era sporco (nero) come i panni poi, una volta passato in Ava, diventava bianco, così come i panni diventavano bianchi e puliti.
A mio parere, qui nasce il problema che è stato evidenziato da Federico: Calimero era un esempio di utilizzo della figura animale contestualizzato (pulcino = bucato), mentre l’orso di Vodafone è completamente decontestualizzato rispetto al prodotto che pubblicizza e il salto cognitivo che deve essere fatto dal pubblico è enorme.
Quindi, la figura animale ha tanto più valore ed è tanto più efficace in pubblicità se ha una ragion d’essere rispetto all’oggetto della comunicazione e se riprende codici comunicazionali che la rendano “umana” e quindi in grado di creare emozione nel pubblico.
Il cagnolino di Scottex toccava i tasti della tenerezza e il gioco con il rotolo di carta igienica era parte integrante e fondamentale del suo essere cucciolo.
Il gorilla di Crodino riprende, come segnalato in un commento al post, una vecchia barzelletta e gioca sulla simpatia e sul nonsense (un gorilla non può avere una moglie umana), si reca al bar dove racconta le proprie traversie davanti a un bicchiere, quasi a “bere per dimenticare”, il che lo rende più umano che mai agli occhi del pubblico.
L’ultimo spot in ordine di tempo ci fa vedere una capra (“esperta” di erbe) in metropolitana, che individua immediatamente colui che in tasca ha le caramelle Golia… alle erbe.
Anche in questo caso l’animale è strettamente legato al prodotto e la storia raccontata diventa credibile, anche se il tutto si svolge in un contesto assurdo.
Altra cosa è l’utilizzo delle figure animali per promuovere prodotti o servizi direttamente a loro legati: in questo caso il collegamento con il prodotto è diretto e chiaro, senza spazi interpretativi: un esempio qui.
L’ultimo caso è rappresentato dalla comunicazione sociale che utilizza animali per contrastare fenomeni come l’abbandono estivo o contro lo sfruttamento degli animali nei circhi, o ancora contro l’uccisione degli animali a scopo alimentare o commerciale (come le pellicce), o contro l’utilizzo di animali nella ricerca farmacologica o cosmetica.
Ed ecco che la figura animale da metafora del prodotto o servizio diventa il soggetto della campagna, assumendo il ruolo di narratore della storia stessa.