La notizia non è proprio una novità. Ma se l’allarme viene lanciato da un guru come Eli Pariser, il peso specifico della notizia aumenta di molto.
Secondo quanto sostiene Pariser nel suo libro “Il filtro. Quello che internet ci nasconde” che esce in Italia in questi giorni, i motori di ricerca (e in particolar modo Google, visto che è il più utilizzato) danno riposte personalizzate alle nostre richieste. Pertanto, se due persone diverse fanno la stessa ricerca, otterranno risultati diversi. Questo accade perché Google raccoglie dati su di noi, memorizzando le ricerche passate, i link più cliccati, e così via. In questo modo i risultati che ci vengono forniti sono tesi a farci cliccare il maggior numero di volte possibile, aumentando i guadagni del motore di ricerca. Che, per inciso, si è scusato per aver indebitamente raccolto milioni di dati wi-fi durante le operazioni di street view.
E Facebook? Il comportamento è molto simile. Quando clicchiamo su un “mi piace” forniamo al sistema un indizio importante: quel post è di nostro gradimento.
Ma, come dice Pariser, nessuno darebbe un “mi piace” alla notizia di una strage in Darfur. In questo modo, lentamente ma inesorabilmente, certi tipi di notizie tenderanno a sparire, a favore di altre più cliccate o con un maggior numero di “mi piace”.
Tutto questo, naturalmente, avviene senza consultare gli utenti. Qui potrete trovare la conferenza TED di Pariser.
Per Pariser, la soluzione sarebbe relativamente semplice: rendere neutro il “mi piace”di Facebook sostituendolo con “è importante” e, per quanto riguarda Google, inserire un’opzione in più nella ricerca: “solo le cose che mi piacciono” o “cose che piacciono agli altri”.
Sarebbe un passo importante: internet è sempre stata – ed è la sua grande forza – pluralista e libera.
Voi che ne pensate? È un bene – come si chiede Pariser – che ci vengano fornite solo informazioni che ci fa piacere leggere? Credete che questa pratica possa nuocere alla democrazia?