Confesso di essere in ritardo. Qualche giorno fa ho visto il film di Francesco Patierno “Cose dell’altro mondo”.
Senza dilungarsi in considerazioni di carattere personale, (a me il film è piaciuto), il soggetto è senza dubbio interessante.
La vicenda si svolge in Veneto, regione dove la quota di immigrati impiegati nell’industria e nei servizi è considerevole. Il Veneto è, in materia di immigrazione, una regione dai forti contrasti: da un lato esiste – anche se molto spesso a livello latente – una certa diffusa insofferenza per l’immigrato, dall’altro è presente la consapevolezza dell’assoluta necessità di mano d’opera per fare sopravvivere le aziende. È in questo contesto che si svolge la storia, con lo stereotipo dell’industriale/proprietario televisivo Abatantuono che in fabbrica “sopporta” l’immigrato, al bar con gli amici ne parla male, nella sua trasmissione serale diventa un razzista assoluto e li vuole rispedire “con un sunami a casa loro”, salvo poi avere l’amante nigeriana (e procurarle i documenti per vivere in Italia).
E fin qui nulla di strano, ogni storia, per quanto paradossale, nasce da un seme reale.
La cosa che invece mi ha stupito non poco è che l’azienda di cui è “proprietario” Abatantuono/Golfetto è niente meno che la Came Cancelli Automatici di Dosson di Casier (TV). Un’azienda importante, con un’immagine consolidata, prestigiosa. Attenta alle problematiche ambientali e alle risorse umane.
Il film è stato in parte girato all’interno di uffici e magazzini dell’azienda, e molto spesso il marchio istituzionale compare nelle varie scene, come nel più classico product placement.
L’azienda, per bocca della responsabile delle risorse umane Elisa Menuzzo afferma che “Per rappresentare lo spaccato dell’industria veneta, il regista Francesco Patierno ha scelto di ambientare alcune scene del film tra gli uffici e i magazzini di Came Cancelli Automatici, a Dosson di Casier, arruolando anche una trentina di dipendenti come comparse”.
E ancora: “La scelta di Came come set del film ci ha resi orgogliosi di rappresentare, seppur nel paradosso messo in scena dalla pellicola, l’industria veneta, anche in virtù dell’importanza che Came ha sempre dato alla valorizzazione del territorio in cui opera”.
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La domanda che però mi sorge spontanea è se associare il proprio nome e il proprio marchio a un film che, seppure nel paradosso totale, evidenzia il lato più negativo del territorio e del tessuto sociale in cui l’azienda opera – il presunto razzismo – porti all’azienda stessa dei benefici in termini d’immagine.
Certo è che negli anni il cinema ha sempre rappresentato i Veneti in modo poco lusinghiero: dediti alla bottiglia, tonti, (ve lo ricordate il carabiniere di “Pane amore e fantasia”), razzisti.
Proprio per questo a mio avviso ha senso chiedersi se in questo caso il vecchio aforisma di Oscar Wilde “Non importa che se ne parli bene o male, l’importante è che se ne parli” sia effettivamente valido.
Voi che ne pensate? Il fatto che se ne parli al negativo è comunque un bene?
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