Negli ultimi mesi molte aziende operanti nei settori btb o industriali sembrano essere diventate sensibili agli stimoli che da quasi due anni lanciamo loro in merito alla necessità di presidiare i social network.
I dati parlano chiaro: facebook, twitter e in misura maggiore i blog non rappresentano più uno svago digitale per giovani svogliati (vedi qui il nostro post “Facebook per le aziende btb: un’opportunità?”). Costituiscono oggi dei veri e proprio media comunicativi che devono necessariamente essere gestiti.
In questa fase non ci soffermeremo sulle logiche che sottendono una corretta strategia 2.0.
Passeremo alla fase successiva: al problema della misurazione dei risultati.
Non abbiamo la pretesa di esaurire in un post un argomento così complesso. Ci soffereremo solo su un aspetto che al momento sembra costituire un punto nodale nella valutazione della presenza in rete: il numero di fan in facebook.
A un primo livello di analisi, il mero dato numerico (fan di facebook, follower di twitter, visitatori del blog) rappresenta un primo (e spesso l’unico) spartiacque tra successo e fallimento.
Non vogliamo sostenere che questo indice sia “sbagliato” ma sicuramente può essere fuorviante.
Il contare le “teste” era l’indicatore di performance tipico dei media tradizionali (basta pensare al fantasma sempre incombente dell’audience o della readership dei giornali). Media che presupponevano una comunicazione a una via e un comportamento sostanzialmente passivo del destinatario (che si attivava solo nel momento in cui acquistava).
Il web 2.0 però si caratterizza per l’interazione tra i soggetti. Non solo tra emittente e destinatario, ma anche tra i vari destinatari. Ecco che il solo numero non è in grado di esplicitare un aspetto qualitativo fondamentale nel mondo social: la relazione.
In quest’ottica, acquistare fan non è più sufficiente. Bisogna creare coinvolgimento. Bisogna far si che i fan siano parte attiva.
Trionfa la qualità a scapito della pura quantità.
E proprio in queste dinamiche sta la chiave del successo di una strategia 2.0.
Bisogna creare un vissuto esperenziale nuovo e avvolgente con la marca (quindi con l’azienda, la sua organizzazione, la sua filosofia, i suoi prodotti).
Bisogna creare discussioni dalle quali l’azienda possa essere in grado di captare i segnali (più o meno deboli) dell’evoluzione.
Segnali che permetteranno non solo di generare soddisfazione immediata per il cliente ma di arrivare prima della concorrenza nel futuro.
Per usare un termine tecnico conta l’engagement partecipativo. Per dirla all’antica: “meglio pochi ma buoni”.
Questa logica raggiunge il suo culmine, ovviamente, in facebook, ma può essere facilmente mutuata anche nella valutazione dei blog e di qualsiasi piattaforma che fonda la sua filosofia sull’interazione.
In pratica, il numero dice poco. Soprattutto se la strategia “social” è sviluppata da un’azienda btb.
In questo caso i numeri saranno contenuti per loro stessa natura. Difficilmente un’azienda che produce impianti di refrigerazione o grandi turbine per navi potrà raggiungere migliaia di fans.
Ma ancor di più in questi particolari settori conta la qualità dei fans.
Conta la loro profilazione e conta la loro tendenza a interagire con l’azienda. 100 fans perfettamente rientranti nel target aziendale che leggono ed eventualmente commentano e condividono i contenuti lanciati dall’azienda possono rappresentare un risultato straordinario. E allo stesso tempo possono diventare un volano importante per sviluppare quella rete relazionale virtuale che porta l’azienda a entrare in contatto con clienti potenziali “sconosciuti”.
Questo risultato assume una valenza ancora maggiore anche perché le aziende btb che si muovono su questo piano sono ancora poche. Queste quindi possono, in netto anticipo sulla concorrenza e sulle più ampie dinamiche settoriali, creare e attivare un modello comunicativo originale e più penetrante nei confronti del proprio mercato.
Non solo si crea un rapporto nuovo con il cliente, si rafforza anche la sua loyalty.
E il tutto con un investimento assolutamente sostenibile.
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Ottimo articolo. Lo condivido in pieno, soprattutto per quanto riguarda il concetto dell’originalità e della qualità di cosa comunichiamo. Per esperienza, navigo nei siti dei Technical Communicator anglosassoni e, con l’esperienza, ho imparato a riconoscere i contenuti “cut and paste”, l’aria fritta confezionata e incartata in 100 modi diversi solo perchè “devo sfornare un post al giorno se no i lettori non si fidelizzano…”. Lo segnalerò anche sul mio blog. Alla prossima.