Sicuramente vi sarà capitato, scorrendo ad esempio un manuale di istruzione, di incappare in qualche traduzione non propriamente aulica.
Il significato arriva ugualmente ma scappa un sorriso quasi canzonatorio.
Ormai la maggior parte delle aziende italiane hanno da decenni aperto i propri confini oltre quelli nazionali.
La globalizzazione è un dato di fatto, anzi, molti analisti indicano nell’internazionalizzazione l’unica ancora di salvezza dalla crisi.
Ecco che le nostre imprese hanno iniziato (da anni oramai) a riversarsi sui mercati esteri con strategie più o meno studiate, con reti commerciali più o meno strutturate.
A un certo punto, però, ci si rende conto che serve anche la comunicazione.
Non solo la campagna pubblicitaria o la fiera ma anche tutta la documentazione, da quella commerciale a quella tecnica.
Ci si imbatte così nel problema delle traduzioni.
A chi farle fare? Al madrelingua o al commerciale che da anni bazzica i mercati esteri?
Il madrelingua sicuramente offre una traduzione più in linea con la lingua corrente ma forse non conosce pienamente i termini tecnici tipici del proprio prodotto.
Il commerciale probabilmente conosce meglio il prodotto della lingua.
Capita così a volte di incappare in qualche incidente di percorso.
L’ultimo, e più eclatante dato il soggetto, ha visto come protagonista il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca Scientifica.
Sul sito è stato pubblicato un bando internazionale di ricerca dal titolo: “Dalla pecora al pecorino tracciabilità e rintracciabilità di filiera nel settore lattiero caseario toscano“.
Fin qua niente di strano. La sorpresa si trova nella traduzione del bando in inglese dove “pecorino” è stato tradotto con “doggy style”.
Dal formaggio al kamasutra.
Quando ci si affida a occhi chiusi al traduttore di Google, questi possono essere i risultati.
Un altro esempio simpatico lo abbiamo trovato nel settore meccanico dove il termine tecnico (ma non troppo) “cuscinetto”, inteso come cuscinetto a sfera, è stato tradotto con “little pillow”.
Dai bulloni al letto il passaggio non è poi così breve.
Un’altra situazione simile la abbiamo scovata nel settore “elettrico”.
La pagina pubblicitaria in italiano parlava di black out. Cosa abbastanza scontata visto il settore.
Peccato che la stessa headline fosse stata mantenuta anche per il lancio negli USA.
I black out italiani diventavano così una frase decisamente razzista oltreoceano.
La cosa più ricorrente è però uno stile di traduzione un po’ troppo “italico” ovvero la frase viene costruita con la stessa struttura del periodo in italiano.
Dal punto di vista letterale la traduzione può essere anche reputata corretta peccato però che il nostro destinatario non parlerebbe mai così.
Ecco che ci si imbatte in frasi di 3/4 righe per spiegare un concetto che un madrelingua molto probabilmente sintetizzerebbe in modo naturale con 3/4 parole.
Ebbene si anche la traduzione vuole la sua parte.
I testi sono importanti.
Lo sono in italiano e lo sono anche nelle lingue.
Anche la traduzione influisce sulla percezione generale che il cliente ha della nostra azienda.
Anche la traduzione influisce sulla qualità del prodotto.
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[…] Fonte : Sintesicomunicazione.wordpress.com […]
Tradurre da una lingua ad un’altra è sempre stato un grosso problema. Basti ricordare il famoso vecchio memo di IBM sulla manutenzione dei mouse: http://www.francobampi.it/franco/home/palle_topi.htm