L’altra sera sono andato al ristorante; un bel ristorante.
Ho preso posto, ho ordinato una cena completa e scelto un buon vino.
Prima che il cameriere portasse la comanda in cucina, l’ho fermato e gli ho detto: “pago la cena solo se sarà di mio gradimento”.
Risultato: mi hanno cacciato dal ristorante!
Ovvio, starete pensando.
Ovvio è la risposta naturale.
Normale per tutti i settori, tranne che per la creatività dove la “moda” delle gare sta dilagando senza freni.
Mi metto per un momento dalla parte del cliente.
Mi domando: “non compro niente di tangibile, tutto è creato su misura, chi mi garantisce che il risultato sia di qualità?”
Il dubbio può essere giustificato. Ma la risposta non può essere farsi fare il lavoro in toto per vedere se è soddisfacente.
Non vado dal sarto e mi faccio fare un vestito per poi scegliere se mi va bene o meno.
La stessa cosa vale per il commercialista, per l’avvocato, per l’architetto, per il medico.
Vale per tutti coloro che erogano un servizio che presuppone un aspetto fondamentale: la fiducia.
Ok, la fiducia si costruisce passo dopo passo. Offrendo qualità, attenzione e risultati. Ma non “regalando” il lavoro.
Perché per i creativi deve valere questa legge?
Il meccanismo della gara non è sbagliato in assoluto.
È la deriva che ha preso negli ultimi anni che è assurda.
Gare aperte a decine di agenzie. Brief spesso farraginosi. Criteri di assegnazione poco chiari.
E ovviamente nessun rimborso spese.
In questo contesto l’impresa di comunicazione ha solo da perdere.
Devi fare il lavoro, mettere sul piatto idee, e ben che vada ti pagano per quanto prodotto (se non vinci ti porti a casa una perdita secca).
Quale azienda può lavorare a queste condizioni?
Ma anche il committente ha da perdere qualcosa. Sicuramente si ritrova con tante idee “gratuite”.
Ma quale può essere la qualità di queste idee?
Quale lavoro può generarsi da tali presupposti?
Un lavoro mediocre. Ma non per incapacità dell’agenzia ma per mero calcolo economico.
Devo partecipare alla gara e minimizzo lo sforzo per minimizzare la perdita in caso di “sconfitta”.
Semplice legge di bilancio.
Alla base di tutto, tra le altre cose, c’è un problema di “percezione”.
Il valore dato alla creatività è sempre più basso perché si pensa che sia un qualcosa alla portata di tutti.
In fondo cosa ci vuole?
Sicuramente la creatività non è esclusiva delle agenzie ma non può neanche essere generalizzata.
Creatività non vuol dire solo trovare un’idea simpatica, vuol dire creare qualcosa che risponda a degli obiettivi.
Obiettivi complessi.
Obiettivi di marketing e di comunicazione. Obiettivi aziendali, commerciali, psicologici….
Ci vuole competenza, esperienza, padronanza delle tecniche e delle teorie.
Creatività non vuol dire trovare una bella foto. Vuol dire applicare un know-how articolato.
La creatività non è fatta dallo strumento. Photoshop o internet non ci fanno più creativi.
I software ci offrono i mezzi per concretizzare al meglio la creatività. Internet apre gli orizzonti della creatività.
Ma di fondo la creatività, quella vera, quella utile resta una elaborazione non alla portata di tutti.
Ci vogliono i professionisti. E i professionisti, anche se messi in gara, non partecipano per la gloria.
Per un’azienda l’importante non è partecipare…
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Tutto corretto. Le aziende approfittano di una situazione.
Ma questa situazione esiste anche per la storica incapacità delle imprese di comunicazione di fare ciò che fanno tutti.
Mettersi d’accordo, fare cartello.
La colpa di un contesto come quello evidenziato nel post non può essere addebitata solo alle aziende, che approfittano di un vuoto legislativo: manca infatti un’associazione delle imprese di comunicazione riconosciuta dallo Stato che – allo stesso modo degli ordini professionali – promulghi listini minimi e linee guida che gli associati devono seguire obbligatoriamente.
Per fermare il degradante fenomeno delle gare come lo conosciamo attualmente le imprese di comunicazione dovrebbero accordarsi e non partecipare a competizioni farsesche. Ma questo, ne sono pienamente cosciente, potrebbe accadere solo nel regno di Narnia….
IMO l’ultima cosa che serve in questo Paese è un’altro albo/associazione/lobby che mettendo un bollino blu (a pagamento o,peggio, per motivi dinastici) abiliti o meno la creatività. Sulle gare credo ci sia ben poco da fare visto che sono presenti in quasi tutti i settori del terziario avanzato. Tuttavia in altre professioni come l’ITC si possono limitare i danni mostrando solo una parte architetturale della soluzione senza entrare nei dettagli. Per chi fà comunicazione capisco che sia ben + difficile. Mi chiedo quindi: è possibile per questo settore tutelare il lavoro esposto in gara con una qualche forma di copyright ? L’ideale sarebbe un bel documento redatto da un avvocato (competente!) che imponga al committente di non usare nessun elaborato in caso di mancata commessa.
Credo sia una questione di serietà, la gara comporta dei rischi, per l’agenzia, e il cliente tra tante proposte nell’indecisione, sarà attratto dalla versione fuori brief…
Quindi la soluzione migliore è fidarsi dell’esperienza e della professionalità di un agenzia che ispira fiducia e risultati, non di tante che promettono poco.
D’accordo su tutto, tranne che su un aspetto, anzi una parola: “creativi”.
è la parola che nell’immaginario collettivo ci definisce “bohemienne”, artistoidi e capricciosi, inoltre è fondamentalmente sbagliata perchè la creatività è di tutti, la capacità di analisi e progettazione specifica no, la “qualità del pensiero” necessaria a formulare una o più soluzioni ad un problema percepito, tenendo conto di contesto, finalità, fattibilità, budget e tutte quelle circostanze che rendono “articolati” presupposti e finalità.
Mi capita di sentir chiedere ed offrire “una creatività”, come fosse un “termine di agenzia” mentre è solo un sintomo della semplificazione estrema che i clienti istruiti da colleghi cialtroni (incapaci di argomentare la pochezza delle proprie scelte), percepiscono come realtà.
Prima smetteremo di essere “i creativi che hanno le idee” (Munari non ha insegnato nulla?) e prima potremo pretendere il rispetto e il compenso di progettisti.
Concordo al 100% con Paco.
Usciamo da quest’area snob.
Ok creativo farà figo ma come dice Paco spiega una minima parte di quello facciamo.
La creatività fine a sé stessa è arte.
Noi non siamo artisti.
Noi traduciamo strategie imprenditoriali in comunicazione e i bisogni dei target in azioni.
La buona idea può venire a tutti (e può essere anche un colpo di fortuna).
La buona idea che nasce dall’analisi e dalle valutazioni di natura economica, psicologica, aziendale, demografica e mettimoci pure artistica viene solo a chi ha la competenza, l’esperienza e la visione di mettere insieme secondo un ordine nuovo i diversi pezzi del puzzle.