Il post pubblicato qualche settimana su Museum of Me (puoi leggerlo qui) ha suscitato in ufficio una serie di discussioni e valutazioni.
Le indicazioni emerse sono state diverse ed equamente distribuite tra gli strenui sostenitori del “ormai internet è il succedaneo di tutto” e chi invece ritiene “ok ma non sarà mai la stessa cosa”.
Da questo punto di vista particolarmente interessante è stata un’analisi riguardante, appunto, i musei virtuali. Non tanto quelli “personali” realizzabili con un’applicazione chiaramente pubblicitaria come quella di Intel ma quelli reali, quelli che in tutte le parti del mondo espongono tangibili opere d’arte.
È innegabile che, oggi giorno, siamo circondati da una serie di applicazioni che rendono tutto possibile in un click.
Il progresso digitale, la forza dei social network, qualsiasi azione e ogni sua sfumatura, si trasformano in una “applicazione”.
Questo è il trend è sarebbe una battaglia anacronistica, e anche inutile, negarlo.
Musei virtuali, giornali che non rappresentano più la carta stampata ma un file per i tablet, colloqui faccia a faccia sostituiti da mail: tutto sta cambiando, e tutto si sta trasformando, ma siamo sicuri che nulla si distruggerà.
Soffermandoci solo sul museo, il piacere e l’emozione di una visita reale può essere sostituita da una visione virtuale?
Possiamo ammirare un opera d’arte senza sentirne l’odore dell’acrilico, l’odore di colori che si sono modificati magari nei secoli?
Possiamo rinunciare all’ammirarne la sua bellezza senza la luce adatta?
Possiamo dire di averla vista, senza averla vista davvero?
Ogni volta che entriamo in museo e approcciamo un’opera d’arte questa diventa parte integrante della nostra vita.
Esiste un lato esperienziale, molto concreto, che difficilmente la soluzione digitale potrà replicare con la stessa forza e lo stesso coinvolgimento.
Ci sono delle “esigenze” che non possono essere soddisfatte dai pixel.
È vero, ormai le applicazioni multimediali diventano sempre più multisensoriali ma non riusciranno mai a sostituire completamente le esperienze reali.
Voi cosa ne pensate?