Capita spesso sentire il cliente commentare le idee creative con un giudizio lapidario: “non mi piace”.
È sempre stato così ma quasi mai è il metro di valutazione corretto.
Un giorno, molti anni fa, presentando un importante progetto di comunicazione a un “grosso cliente” ci trovammo a fronteggiare per l’ennesima volta questa esternazione.
Quel giorno il nostro art director rispose: “gentile cliente lei è mai andato a pesca?”. Il cliente rispose di si (ma se avesse risposto no non sarebbe cambiato nulla).
“Quando lei va a pesca si posiziona lungo la riva del lago, prepara le canne, e mette l’esca sull’amo. Getta la lenza e poi aspetta magari mangiando un bel panino col prosciutto. A lei il prosciutto piace molto ma sull’amo ha messo il verme, come mai?”. Il cliente ovviamente rispose “perché ai pesci piacciono i vermi non il prosciutto”.
Ecco il mercato, ovvero i destinatari della comunicazione dell’impresa, è come quel lago pescoso e per riuscire ad attirare i pesci all’amo si utilizzano i vermi (ovvero quello che piace ai clienti) e non il prosciutto (ovvero quello che piace all’imprenditore/pescatore).
In questo caso il punto di vista è strategico e il punto di vista corretto non è quello dell’impresa. Bisogna sempre mettersi dal punto di vista del cliente.
L’idea creativa non può essere valutata secondo i propri criteri di soggettività.
Non è questione di gusti personali, nonostante sia l’imprenditore a finanziare l’attività di comunicazione. È questione di efficacia. Ovviamente l’idea creativa deve essere accattivante, deve generare ricordo, deve raggiungere gli obiettivi; deve sempre rispondere (soprattutto nel caso delle campagne) ai criteri AIDA (Attenzione – Interesse – Desiderio – Azione) ma questi aspetti devono essere ingenerati nel cliente. Il “non mi piace” non vale, conta solo il “non è efficace”.
Ovviamente queste considerazioni non annullano le valutazioni del cliente. Anzi le sue osservazioni sono fondamentali per meglio tarare il messaggio sul target: chi meglio dell’impresa conosce i clienti? Inoltre l’impresa deve “sentire propria” l’idea creativa che deve essere coerente con la corporate identity ovvero con il “modo di essere” dell’azienda.
Ma questa immedesimazione non deve portare al cambiamento del punto di vista e alla mera soggettività.
La comunicazione non potrà mai essere esclusivamente oggettiva ma il cliente resta sovrano in tutte le scelte di marketing. Deve esserlo anche nelle scelte di comunicazione.
Il soggetto che conta è lui.
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Assolutamente vero.
Tutti esperti di comunicazione.
Come mai gli stessi imprenditori che criticano e pontificano sul lavoro delle agenzie non hanno lo stesso comportamento con i loro studi legali o con i commercialisti?
Questo è il problema delle professioni “qualitative”.
Non esistono parametri oggettivi di valutazione.
In fin dei conti siamo tutti allenatori della nazionale!