Nelle ultime settimane ci siamo intrattenuti più volte in questo blog sul tema delle pubblicità hot.
Sull’argomento è recentemente intervenuto anche Alberto Contri, presidente di Pubblicità Progresso, commentando la campagna della stilista Sylvian Heach realizzata dal fotografo Terry Richardson.
Riportiamo di seguito uno stralcio della dichiarazione apparso sul sito ADV Advertiser (per l’intervento completo clicca qui).
“Ecco, ci risiamo, dice Contri, la tecnica è consolidata. Come fare per diventare famosi in un attimo? Chi conosceva la casa di moda Sylvian Heach? E tanto meno il fotografo Terry Richardson? Oggi sono sulla bocca di tutti per la foto di una modella che mostra il sedere senza mutande. Da anni ci si batte per una pubblicità di qualità e poi un mestiere così difficile e facilmente criticabile come quello del pubblicitario deve essere trascinato nel ludibrio da un sedicente stilista e da un sedicente fotografo che come unica modalità per attrarre l’attenzione hanno pensato bene di mostrare per intero il nudo sedere della modella. Non confondiamo i mestieri: fare il fotografo e il pubblicitario sono due mestieri ben diversi. Fare il pubblicitario con classe, buon gusto e professionalità è ben altra cosa rispetto a comunicatori improvvisati che ricorrono a questi miserabili trucchetti.”
Mi permetto di riprendere alcuni passaggi significativi di Contri.
Per diventare famosi in un attimo basta “esibirsi” o “sfidare” la moralità. Farsi vedere al di fuori degli schemi e anzi deragliare negli schemi dell’hard oggi sembra avere un grande appeal. Questo può essere anche vero ma fare comunicazione è effettivamente un’altra cosa.
Analisi dei target, valutazione psico-sociologiche, scelte di marketing mix, creatività applicata e ponderata, tutte attività che richiedono professionalità, know-how, esperienza, compentenza. Tutte attività che vengono azzerate semplicemente mostrando un fondo schiena e stanziando un budget adeguato per farlo vedere “nei posti giusti”.
Ha ragione Contri, fare comunicazione non può essere banalizzato a questo livello e non può essere appiattito solo su una fotografia “spinta”.
Fare il fotografo non vuol dire fare il pubblicitario e ancor meno fare il comunicatore. Una bella foto, da sola, non comunica niente (stiamo parlando di comunicazione commerciale non di arte). Questo non vuol dire sminuire il ruolo della componente visuale, ci mancherebbe, e neanche rifuggire aprioristicamente dalla pubblicità impattante, fuori dagli schemi e, perché no, anche piccante.
Ma non deve essere una scorciatoia.
Per comunicare non servono trucchi servono competenza e conoscenza.
Il cliente deve rifuggire dai casi che fondano la loro awarness e il loro appeal solo sul falso assioma “basta che se ne parli”.
È ora che per parlare ci si appoggi su argomenti validi, qualitativamente fondati e non solo sullo scalpore momentaneo.
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Confermo tutto e aggiungo che la gente non comprerà Sylvian Heach solo per il culo della modella o perchè se ne è parlato in questa occasione… E le pubblicità che ci colpiscono di più sono di solito quelle ironicamente sottili e non quelle sfacciate.
E’ ora di finirla con questo metodo. Citandoti, “Per comunicare non servono trucchi servono competenza e conoscenza.” Approvo e sottoscrivo!
Ok, non generalizziamo ma in linea di massima faccio difficoltà a chiamare pubblicitario un fotografo.
Ok, possono essere due creativi ma è l’incanalizzazione e la finalità di questa creatività che li distingue.
Un pubblicitario è un comunicatore, il fotografo è generalmente un’artista.
Anche l’arte comunica ma con una finalità diversa da quella della pubblicità.
Sono diversi i presupposti e sono diversi gli obiettivi.
E questo porta spesso il fotografo “prestato” alla pubblicità a essere un provocatore più che un comunicatore.
Si comunica anche con la provocazione. Ma non si può sempre e solo provocare.
D’accordissimo con Federica.
Il culo della modella mi colpisce nell’immediato ma domani mattina l’ho dimenticato (tranne qualche caso “cult” come Coppertone e la Theron di Martini).
Le pubblicità veramente intelligenti, che usano sapientemente l’ironia o le metafore, sono quelle che mi rimangono più impresse.
Ergo mi rimane più impresso anche il marchio.
Tu chiamala se vuoi awareness…
Io comunque, anche se in parte già fatto, distinguerei i due piani del discorso.
Una cosa è la semplificazione del processo creativo (e di tutta la fase di analisi) che viene miracolosamente azzerata da un culo in vista (cosa che azzera la necessità di professionalità particolari).
Una cosa è il giudizio scandalistico sull’immagine scelta.
Sono d’accordo sul primo, meno sul secondo.
Basta, fare comunicazione così sono capaci tutti!!!!
Non lamentiamoci poi se i committenti si sentono autorizzati a giudicare il nostro lavoro come se fossero dei guru che commentano il lavoro di un principiante.
Purtroppo la volgarità, non stanca mai, anche se è “volgarità d’alta moda”.
l’importante è che la classe invece si distingue sempre.